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Daniele di Bonaventura: il Jazz tra scrittura e improvvisazione

Daniele di Bonaventura

Daniele Di Bonaventura è uno tra i migliori interpreti del bandoneon a livello internazionale. Il suo erudito playing non è incardinato su un virtuosismo eccessivo e autoreferenziale volto a ingraziarsi i consensi del pubblico, bensì su uno stile multiforme, evocativo, introspettivo, denso di vellutata cantabilità e spiccato senso melodico, che si nutre delle colorazioni e dei suoni appartenenti a differenti generi musicali. 

Domenica 6 agosto, al Cratere del Vesuvio, fiabesca location dalle mille fascinazioni, si esibirà in duo con un puro fuoriclasse della tromba jazz: Paolo Fresu. Un suggestivo concerto al tramonto, denominato appositamente Vesuvio In Maggiore per la XXII edizione del Pomigliano Jazz In Campania.

Il tuo primo incontro con la musica è avvenuto grazie al pianoforte. Poi, hai intrapreso lo studio del bandoneon. Perché questa scelta?

Ho iniziato a meta degli anni ’70 suonando un organo Farfisa, poi sono passato molto più tardi al pianoforte. La scelta di suonare il bandoneon è stata dettata dalla voglia di ricominciare a suonare un altro strumento a me sconosciuto, per resettare e ripartire, in modo tale da cercare una strada personale, originale. A un certo punto della mia vita artistica ho sentito la necessità di trovare un mio linguaggio al di fuori degli stilemi classici del jazz o della musica classica contemporanea. È stata un’esigenza quasi fisiologica. Per giunta, invidiavo i miei amici trombettisti, sassofonisti, violinisti, che avevano con loro il proprio strumento e il proprio suono, ovunque.

Quali sono le analogie e le differenze sostanziali, dal punto di vista tecnico ed espressivo, fra il pianoforte e il bandoneon?

Anche se ci sono molte differenze, alla fine mi sembrano due strumenti molto vicini. Sono entrambi strumenti armonici, si suonano tutti e due con due mani, anche se il piano ha ottantotto note, mentre il bandoneon settantuno. La posizione della mano e delle dita, quando si premono i tasti, sono uguali sia per l’uno che per l’altro. Il pianoforte si suona con la mano in orizzontale, il bandoneon con la mano in verticale. In realtà ci sono anche molte differenze. Il suono, nel piano, ha un attacco e una fine, invece nel bandoneon è continuo. Dal punto di vista espressivo, il pianoforte resta lo strumento più difficile, poiché ha troppe protesi e leve meccaniche prima che il tasto possa raggiungere le corde ed emettere un suono. Il bandoneon, al contrario, è veramente più facile sotto il profilo dell’espressività. Si può gestire il suono con il mantice, che ti concede la possibilità di farlo partire quasi da zero fino ad arrivare a un fortissimo. Il mantice è come se fosse il prolungamento del tuo stomaco.

Nella tua intensa vita artistica hai ascoltato e praticato una marea di generi musicali. Ne esiste uno attraverso il quale ti identifichi meglio?

Sin da bambino ho iniziato ad ascoltare la musica lirica, grazie a mio padre che mi portava in teatro. Successivamente ho cominciato a suonare le tastiere ascoltando gruppi dell’epoca come i Pink Floyd e i Genesis, per poi passare al rock & roll e al pop. Dopo di ciò ho studiato Composizione al conservatorio e ho vissuto una bella esperienza con la musica classica e contemporanea. Nel frattempo, ho incontrato il jazz con Bill Evans, ed è lì che mi è cambiata la vita. Nello stesso tempo mi sono cimentato con gli studi relativi alla Direzione d’Orchestra, che mi hanno consentito di innamorarmi della musica sinfonica e dei grandi compositori della storia, fino a quando ho imbracciato il mio bandoneon e mi sono imbattuto nel tango. Tutte queste esperienze, però, si possono fondere in un linguaggio comune e contemporaneo, ossia il jazz, ma inteso nel senso più ampio del termine, una sintesi tra scrittura e improvvisazione.

Oltre ad essere uno tra i più apprezzati bandoneonisti in ambito europeo, sei anche un prolifico e raffinato compositore. Qual è la cifra distintiva dei tuoi brani originali?

Dopo tutte le mie esperienze mi sento un artista, più che un bandoneonista o pianista. Dunque, per me è importante la composizione, perché solo attraverso questa arte è possibile esprimere se stessi. Ovviamente i miei studi mi hanno portato a conoscere bene il contrappunto, che credo sia la base per qualsiasi composizione. Lo studio approfondito dell’armonia e del contrappunto della musica classica mi ha segnato veramente tanto e tutto ciò che faccio, da quando suono uno strumento a quando compongo, mi permette di avere in mente il controllo sia verticale che orizzontale della musica. Controllare e saper muovere le parti melodiche in funzione dell’armonia penso sia l’elemento fondamentale del mio linguaggio, a prescindere dai miei brani originali tonali, atonali o modali.

Hai tenuto una sfilza di concerti in ogni parte del globo. Qual è stata l’esperienza che ricordi con più affetto?

Sì, sono stato in giro abbastanza e per quello che ho fatto avrei da raccontare molti aneddoti particolari. Me ne viene in mente uno, alla Town Hall di New York, quando ho calcato il palco storico di quel celebre teatro dove hanno suonato Monk, Ellington, Stravinsky, Evans, Segovia e tanti altri giganti della musica: mi sono inginocchiato e ho baciato per terra. Un altro ricordo straordinario è legato a Miroslav Vitous, che mi invitò a casa sua, nel suo studio, per registrare un brano nel suo disco intitolato “Syncopation II”. Siamo stati un paio di giorni insieme a lavorare. Durante le pause mi raccontava gli aneddoti incredibili della sua carriera. È stato un momento molto tenero. Mi ha trattato quasi come fossi suo figlio.

Domenica 6 agosto, in seno al “Pomigliano Jazz in Campania” 2017, duetterai con Paolo Fresu, uno tra i più stimati interpreti della tromba e del flicorno in attività. Il luogo del concerto sarà l’estasiante cornice del Cratere del Vesuvio, uno fra i posti più magici che esistano sulla faccia della Terra. Dal punto di vista squisitamente emozionale, che tipo di performance ti aspetti?

Sarà un concerto molto particolare, sicuramente. Ne ho fatti diversi in luoghi molto suggestivi, ma devo dire che sul cratere di un vulcano non mi era mai capitato. Stiamo preparando con Paolo un repertorio praticamente unico. Eseguiremo dei brani che parlano del Vesuvio scritti da diversi autori e resi noti da cantanti molto conosciuti, ma preferirei non svelare la sorpresa. Bisogna esserci per scoprirlo.

Intervista a cura di Stefano Dentice – Sound Contest – Musica e altri linguaggi

PAOLO FRESU & DANIELE DI BONAVENTURA | Vesuvio in Maggiore
Domenica 6 agosto 2017, concerto al tramonto
Cratere del Vesuvio

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