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GIANLUCA PETRELLA: L’ELETTRONICA COME PUNTO DI RIFERIMENTO

Gianluca Petrella "Sun Ra inspiration"

Gianluca Petrella è uno tra i trombonisti e compositori più interessanti e innovativi della sua generazione. Il suo senso estetico è incardinato su un’identità espressiva immediatamente riconoscibile e su una minuziosa e profonda ricerca di un suono autentico e strettamente personale.

Sabato 5 agosto, per la ventiduesima edizione del Pomigliano Jazz In Campania, condividerà la scena insieme a due eccelsi musicisti come Eivind Aarset e Michele Rabbia. Questo concerto, che si terrà presso l’incantevole Palazzo Caravita di Sirignano, rappresenta un’anteprima assoluta di un progetto discografico che, prossimamente, sarà prodotto dalla prestigiosa etichetta tedesca ECM.

Per due anni, consecutivamente, hai vinto l’ambito e celeberrimo “Critics Poll” della nota rivista statunitense “Down Beat”, per la categoria “Artisti Emergenti”. Come ci si sente ad essere insigniti di un riconoscimento così importante da parte del magazine jazz più autorevole al mondo?

Ci si sente bene nel momento in cui si riceve la notizia. Sono piccole soddisfazioni che alimentano la mia creatività, anche se in realtà lasciano il tempo che trovano. A distanza di qualche ora torna tutto nella norma. È una soddisfazione, ma sicuramente ci sono tante altre gratificazioni.

Il grande Enrico Rava, in una sua intervista, ti ha definito e consacrato come il miglior musicista che il jazz italiano abbia mai espresso. Quale ruolo ha ricoperto durante la tua prodigiosa crescita artistica e umana?

Enrico Rava è stata la persona più importante con cui io abbia mai collaborato, sin da subito, fin da quando ero ragazzino. Avevo circa 20 anni quando ero al suo fianco in tour, ora ne ho 42. Da quel momento in poi ho condiviso una serie di esperienze importanti con lui. Oltre ad essere un grande musicista, un ispiratore per molti giovani, è anche un grande uomo, una persona fondamentale anche fuori dal palco. Da lui ho imparato tantissime cose, non solo dal punto di vista musicale, ma anche sotto il piano umano. Il fatto che lui vada in giro a spendere sempre delle belle parole nei miei confronti è motivo di orgoglio. Probabilmente sono più orgoglioso quando Enrico Rava si esprime nei miei riguardi, rispetto alla conquista di un premio.

Sei molto prolifico anche in ambiti non strettamente jazzistici, specialmente con alcuni progetti incentrati sull’elettronica. Che idea ti sei fatto dell’utilizzo sempre più abbondante di questo strumento nella musica attuale?

Io ho una mia idea da tantissimi anni relativa all’elettronica. Non è qualcosa di nuovo che mi sono inventato negli ultimi tempi, ma ci lavoro da quando ero bambino. Ricordo che il mio papà mi proponeva vari sintetizzatori, svariate tastiere. Giocavo con i midi, mi divertivo a creare dei beat o dei suoni, cercando di comprendere il linguaggio degli strumenti elettronici. Adesso, da qualche anno, l’elettronica è diventata un punto di riferimento. Per quanto mi riguarda, l’apporto della musica elettronica è qualcosa di imprescindibile, di veramente importante. Pertanto, ogni volta che formo dei gruppi o quando mi esibisco dal vivo, tendo sempre a mescolarla con l’acustico, poiché questa, per me, è la strada giusta da intraprendere. Tutto ciò è dettato dal mio cuore e dalle mie orecchie.

Fra i tanti lavori nei quali sei protagonista, vi è un progetto assai interessante, in “Solo”, intitolato “Exp and Tricks”, concepito come un autentico viaggio musicale nei cortometraggi dei primi anni del cinema. Puoi spiegare dettagliatamente il mood e le peculiarità di questo lavoro?

L’intenzione è quella di unire cortometraggi sperimentali o musica più o meno simili. La peculiarità risiede nel trovare un nesso tra la musica e i cortometraggi. Un’operazione non semplice, poiché alcune volte ci sono corti che durano poco più di un minuto. Dunque, devi sintetizzare un commento alle immagini in quell’arco di tempo. Io protendo sempre ad ampliare qualsiasi tipo di brano, mentre un’altra caratteristica è quella di gestire una marea di strumenti, tra cui l’apparecchiatura elettronica e i controller da cui si costruiscono i ritmi. Inoltre ci sono i sintetizzatori e il Fender Rhodes. La scelta degli strumenti è molto ampia e passo da uno all’altro in base alle sensazioni che provo in quel momento. Tutto sommato, musicalmente, posso esprimermi a ruota libera, senza nessun vincolo.

Sei un musicista costantemente alla ricerca dell’innovazione, di qualcosa che non sia legato a schemi precostituiti o a stilemi oramai abusati. Questa fisiologica necessità di sperimentare si è sviluppata nel tempo oppure è connaturata da sempre al tuo DNA?

È una necessità che si è sviluppata nel tempo, perché non è stato facile giungere a quelle che sono le mie idee attuali. Per cui, come un normalissimo musicista, sono partito dalle cose semplici. Da ragazzo ho fatto molta gavetta, suonando nella banda, ai matrimoni. Poi, pian piano, sono cresciuto, ho iniziato ad ascoltare i grandi maestri del jazz, in particolar modo i trombonisti. Successivamente, una volta assimilato il tutto, la voglia di scoprire altro, il desiderio di lanciarsi in altre avventure senza costrizioni, bensì in maniera molto naturale, mi ha consentito di comprendere che la musica è sempre in movimento. Non bisogna mai cristallizzarsi, mai fermarsi, come ad esempio suonare sempre gli standard jazz, sentiti da ormai moltissimi anni. Io sono molto legato al jazz tradizionale, ma non mi permetterei mai di esprimermi come facevano 60 o 70 anni fa. Specialmente nel mondo del jazz, cerco di esplorare diversi aspetti, ma non mi sento solo ed esclusivamente un jazzista. È un’etichetta che mi sta un po’ stretta, poiché i musicisti jazz sono altro rispetto a me. Non ho assolutamente nulla in contrario rispetto ai vari stilemi jazzistici, basti citare Coltrane, Archie Shepp e tutti i musicisti dell’avanguardia nera che amo molto, ma riproporre la loro musica, a mio avviso, non ha alcun senso, soprattutto a livello di suono.

Sabato 5 agosto, insieme a due sensazionali musicisti come Eivind Aarset (chitarra ed elettronica) e Michele Rabbia (batteria e percussioni), sarai ospite della XXII edizione del Pomigliano Jazz In Campania. Su quale repertorio verterà il concerto?

È un trio che si muove su un discorso prettamente improntato sul suono e sulla sua ricerca, nonché sull’aspetto improvvisativo, più che su un repertorio vero e proprio che sia strutturato e ben definito. È una formazione molto energica, in cui vi è spazio anche per alcuni frangenti particolarmente melodici. Un trio che attinge molto alle influenze musicali del nord e del sud Europa.

Intervista a cura di Stefano Dentice – Sound Contest – Musica e altri linguaggi

GIANLUCA PETRELLA – EIVIND AARSET – MICHELE RABBIA Trio
sabato 5 agosto , ore 21:00
Palazzo Caravita, Sirignano (AV)
Info ed evento Facebook

 

(Foto articolo di Carlo Mogavero)

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