Francesco D’Errico: il legame tra Musica e Filosofia

Francesco d'Errico quintet

Musicista estremamente sensibile e profondo, dall’illuminante opulenza culturale, Francesco D’Errico è un pianista jazz e compositore sempre al passo con i tempi, assetato di curiosità e desideroso di esplorare la musica in tutte le sue sfaccettature. Giovedì 3 agosto alle 21:00, in seno alla ventiduesima edizione del Pomigliano Jazz In Campania, sarà ospite insieme al suo quintetto costituito da Giulio Martino (sassofoni), Antonio Iasevoli (chitarra), Marco De Tilla (contrabbasso) e Dario Guidobaldi (batteria), con un lavoro incentrato sul celebre compositore lucano, specificamente madrigalista, Carlo Gesualdo da Venosa.

 

I tuoi studi non sono solo ed esclusivamente legati alla musica, ma anche alla filosofia. Infatti, ti sei brillantemente laureato in Filosofia Teoretica presso l’”Università degli Studi di Napoli l’Orientale” con una tesi dal titolo “Leibniz e la musica”. Questa laurea ti ha consentito di approfondire ulteriormente le tue conoscenze musicali?

I miei studi di filosofia sono stati molto importanti per la mia formazione. La filosofia e lo studio di un certo tipo di classici del pensiero mi hanno fornito strumenti di visione critica ed estetica del mondo che mi accompagnano in tutto quello che faccio. Anche per la musica, nel mio caso, è stato così. Inoltre, per gestire ogni forma logica che pervade le produzioni musicali, dalla scrittura all’improvvisazione, l’esercizio della filosofia, e intendo quella sorta di allenamento al pensiero che ti permette di spostare con padronanza e con una certa libertà punti di vista e ascolto, è stato assolutamente necessario nella mia esperienza. Non solo per gli aspetti attinenti alla teoria o alla geometria della musica, ma anche per ciò che attiene alle strutture del sentimento agli incroci delle emozioni.

Tra le svariate attività svolte nell’arco della tua carriera, hai collaborato anche ai corsi di musicoterapia a cura dell’Isfom di Napoli. Qual è stato il tuo ruolo specifico in questi incontri?

Di solito, le scuole di musicoterapia sono divise in tre aree: area medica, psicologica e musicale. Io ero impegnato in quella musicale con laboratori di improvvisazione.

Hai tenuto alcuni seminari sulla filosofia della musica in Italia e all’estero. A Parigi, precisamente alla “Sorbonne”, sei stato invitato a un seminario intitolato “Musica e Identità”. Quali sono i contenuti più significativi di questo tema?

Effettivamente non ho tenuto tantissimi seminari sulla filosofia della musica. A Parigi ero semplicemente un invitato a un tavolo sull’identità, in cui ho portato il mio contributo. Queste attività mi piacciono, poiché mi tengono in contatto con i miei studi universitari. Però, un aspetto che mi piacerebbe sottolineare proprio a proposito del contatto tra il mio mondo e quello della filosofia, è che questo lato della mia vita culturale mi ha permesso di pubblicare due libri negli ultimi anni: il primo (“Fuor di Metafora: sette osservazioni sull’improvvisazione musicale”) relativo all’esplorazione del concetto di improvvisazione, mentre il secondo (“Rudimenti di armonia e modalità ad indirizzo jazzistico”), molto più tecnico, sull’armonia funzionale e sui principi modali sempre legati al pensiero che regge e regola i processi improvvisativi. Scrivere, per me, è un’attività creativa di grande interesse e, in un certo senso, necessaria.

I tuoi brani originali non si identificano solo ed esclusivamente attraverso il jazz moderno, bensì sono densi di contaminazioni che strizzano l’occhio alla musica europea e all’improvvisazione contemporanea. Quali sono gli aspetti peculiari relativi a questo sincretismo stilistico?

Sono sempre stato intellettualmente curioso, direi irrequieto. Credo di averlo ereditato dai miei genitori. Pertanto, la musica mi si è sempre presentata, sin dall’inizio, come un campo aperto da esplorare in tutte le sue sfumature. Il jazz, specialmente la sua natura ritmica, è stato probabilmente ciò che ha acceso il mio interesse per la musica. Ma una volta dentro questo mondo non ho potuto evitare di curiosare dappertutto, proprio come un ragazzino. Poi, sono cresciuto negli anni ’70, periodo in cui la ricerca del nuovo e la scoperta erano ancora dei valori.

Grazie al tuo considerevole eclettismo, hai avuto l’occasione di collaborare anche in ambiti inerenti alla poesia, alla danza e al teatro. Queste esperienze derivano da una cultura a 360 gradi che ti consente di spaziare liberamente da un settore artistico all’altro?

Credo sia sempre la curiosità che mi ha spinto a guardarmi intorno. Poi, in tutti i campi, c’è gente interessante, artisti di levatura eccezionale da cui imparare. Penso al poeta Adonis, al pittore Shimamoto, a Marco Nereo Rotelli e tanti altri. Per me è stata una fortuna averli incontrati.

Giovedì 3 agosto, coadiuvato da quattro valenti sodali come Giulio Martino (sassofoni), Antonio Iasevoli (chitarra), Marco De Tilla (contrabbasso) e Dario Guidobaldi (batteria), sarai presente per la ventiduesima edizione del “Pomigliano Jazz In Campania” con un progetto singolare di estremo interesse concernente il noto compositore, esattamente madrigalista, Carlo Gesualdo da Venosa. Un lavoro in cui hai tratto ispirazione dalla sua musica per poi comporre ex novo dei tuoi brani originali. Puoi descrivere approfonditamente la genesi e il mood di questo progetto?

Gesualdo e la sua musica erano parte della mia vita, fin da quando ero bambino. Mio padre è nato a Gesualdo, proprio il luogo dove il madrigalista ha composto le sue ultime opere, tra le quali il VI libro dei Madrigali e dove si è rifugiato per sfuggire alla vendetta dei fratelli della moglie, sembra da lui uccisa per tradimento. Insomma, in paese c’è il castello, la leggenda e l’eco della sua musica. Così ho deciso di occuparmene. Ho studiato per alcuni mesi proprio il VI libro e dall’incrocio della metrica dei testi e delle relazione fraseologiche, intervallari, ho elaborato parti di musica sulle tracce di quei lavori, nel tentativo di riprodurre quei profumi e quelle attitudini musicali in una veste più vicina a noi. Probabilmente, però, un gioco che per me ha significato anche ripercorrere una radice familiare.

Intervista a cura di Stefano Dentice – Sound Contest- Musica e altri linguaggi

FRANCESCO D’ERRICO QUINTET | Gesualdo
Giovedì 3 agosto 2017 ore 21:00
Anfiteatro Romano di Avella (AV)

In apertura a GREGORY PORTER

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