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Intervista a Francesco Nastro, il Jazz all’ombra del Vesuvio

Il prossimo 18 settembre, con un concerto al tramonto, il pianista Francesco Nastro si esibirà nella suggestiva cornice di Villa Cappelli a Pollena Trocchia, in occasione della XVIII edizione di Pomigliano Jazz Festival.

Francesco Nastro live a Cimitile per Pomigliano Jazz 2011 (ph Silvano Caiazzo)Il pianista di Castellammare di Stabia presenterà una produzione originale per il Festival, insieme ad altri due musicisti campani: il sassofonista Marco Zurolo e il chitarrista Antonio Onorato. Lo abbiamo incontrato alla vigilia di questa sua nuova avventura musicale.

Ritorni a Pomigliano Jazz con un nuovo progetto insieme a Marco Zurzolo e ad Antonio Onorato. Sono passati tanti anni dal 1998, quando realizzasti sempre per il Festival, una riuscitissima serata dedicata a George Gershwin. Quali sorprese hai in serbo questa volta?

Prima di tutto mi preme dire che si tratta di un progetto originale, una produzione esclusiva per Pomigliano Jazz. I tre musicisti si esibiscono per la prima volta dal vivo in questa formazione.

Il concerto offrirà composizioni di ogni singolo musicista (3-4 brani a testa).

Il comune denominatore sarà costituito dal carattere della napoletanità, presente in maniera molto forte in tutti e tre i protagonisti dell’evento. Durante il concerto sarà messo in evidenza questo particolare aspetto, appartenente ad una formazione che affonda le proprie radici nel territorio e nella tradizione musicale partenopea.

Il jazz a questo punto diventerà una chiave di lettura, utile a trasformare le nostre composizioni in momenti di improvvisazione musicale; il tutto legato da un fil rouge, caratterizzato da sonorità ispirate dal Vesuvio e dal Golfo di Napoli.

Il panorama italiano sta mettendo in mostra nuovi giovani talenti, più o meno rilevanti. Secondo te cosa è cambiato rispetto ai tuoi esordi, quando hai intrapreso la carriera di musicista insieme ad altri “giovani leoni”?

E’ cambiato quasi tutto. Quando ho cominciato ad avvicinarmi al mondo del jazz non esisteva internet. A quei tempi anche procurarsi un disco era difficile, così come rintracciare il materiale didattico.

La mia generazione potrebbe essere considerata una generazione di jazzisti “da strada”; le informazioni circolavano nei club, suonando in giro. Oggi invece i ragazzi hanno a disposizione una quantità di materiale musicale pressoché infinito; di conseguenza il jazz si è diffuso molto di più e si ascolta in maniera molto più estesa.

Di conseguenza, questo sistema offre dei vantaggi ma anche degli svantaggi: con un numero infinito di informazioni ci si può anche perdere, oppure si può raggiungere subito il proprio genere, la propria individualità.

Hai avuto diverse formazioni in trio. Come le hai strutturate e con quale spirito ti esibisci? Sono interscambiabili gli elementi, oppure seguono delle dinamiche diverse?

Ogni progetto è stato costruito insieme ai musicisti con i quali ho poi collaborato. Di conseguenza è difficile sostituire un elemento all’interno del trio, poiché la musica viene creata sera per sera, concerto dopo concerto, insieme a loro.C’è sempre grande affiatamento all’interno delle varie formazioni; spesso poi il suonare insieme sfocia nella decisione di incidere un nuovo disco. In questo modo funzionano e hanno sempre funzionato le produzioni che sono nate negli anni passati.

Un disco riuscitissimo è “Waiting For A New World”, inciso in quartetto nel 2011 per l’etichetta Itinera. In questo disco sono presenti arrangiamenti tratti dal repertorio classico insieme ad improvvisazioni dall’approccio modernissimo. Hai intenzione di riprendere questo tipo di percorso oppure ormai sei oltre quell’esperienza?

waiting for a new world, album inciso da Francesco Nastro per Itinera MusicaAssolutamente no. Il repertorio classico lo frequento spesso, fa parte dei miei studi quotidiani. E’ un mondo che, secondo me, ha tanto ancora da esprimere. Oggi sono molto di moda l’utilizzo e l’arrangiamento in chiave jazz di brani pop (Beatles, ecc.). Nella musica classica ci sono compositori che hanno uno spessore sicuramente molto più consistente e dai quali si può apprendere parecchio. Per questo motivo mi piacerà continuare a lavorare su questo repertorio. A questo proposito, di recente, ho composto degli arrangiamenti delle Danze Ungheresi di Brahms per piano a quattro mani, però quattro mani di jazz.

Hai stabilito, a partire dal disco “Sea Inside” per l’etichetta Itinera (2008), proseguendo poi con il disco “Passione” in duo (CamJazz, 2012), una collaborazione importante con il sassofonista Javier GirottoCosa trovi di singolare in questo artista e perché hai deciso di continuare a lavorarci?

Sea Inside, album inciso da Francesco Nastro per Itinera MusicaJavier è un musicista unico, un musicista con tante influenze. È argentino, ma vive da tanti anni in Italia; suona jazz, ma ha una profonda cultura del tango e, quindi, è un musicista eccezionale da questo punto di vista.

Abbiamo trovato subito una sintonia tra il suo modo di suonare e il suo modo di interpretare le mie composizioni. Spesso suoniamo miei brani che, però, reinterpretati da lui, diventano qualche cosa di ancora originale e nuovo.

Dopo il disco in quartetto con Itinera, è stato abbastanza naturale, dopo alcune esibizioni dal vivo, proseguire la nostra collaborazione con una nuova registrazione in duo.

Insieme al giornalista Pietro Mazzone ha riscosso sempre un grande successo la serie di seminari che organizzate ogni anno nell’ambito del Pomigliano Jazz Festival con lo scopo di far avvicinare il pubblico a compositori e musicisti, attraverso guide all’ascolto ed esibizioni live. Perché secondo te questa iniziativa è così seguita, perché risulta essere così interessante? Come organizzate il lavoro da presentare?

Trio Dialogues, album inciso da Francesco Nastro per Itinera MusicaCredo che questa sia un’iniziativa fantastica. Abbiamo cominciato tanti anni fa, con Giuseppe La Pusata alla batteria, Aldo Vigorito al contrabbasso e insieme ad altri ospiti. Il tutto è partito dalle scuole: organizzavamo dei seminari per non musicisti all’interno dei licei.

Un’esperienza molto complicata all’inizio, perché dovevamo rendere accessibile un materiale molto complesso ai non addetti ai lavori.

È stata una cosa veramente stimolante; quando abbiamo trovato la strada giusta per veicolare il jazz, questa esperienza ci ha formato molto. Bisogna conoscere molto bene la materia per trasmetterla a persone non professioniste.

Tornando molto più indietro al lavoro inciso in Trio con Peter Erskine alla batteria e Gary Peacock al contrabasso, “Trio Dialogues” (1998), ci sono degli artisti stranieri con cui vorresti ancora collaborare? Hai qualche sogno nel cassetto?

Il mio sogno è stato già realizzato; ho avuto la possibilità di confrontarmi e di suonare con questi fantastici artisti. Peter e Gary rappresentano il massimo: tutti aspirano a collaborare con musicisti della loro statura, maestri assoluti del jazz internazionale.

In verità, la nostra collaborazione è durata il tempo della produzione del disco. E’ stato molto complicato ottenere la loro disponibilità, per portarli in giro per concerti, considerando i loro innumerevoli impegni. Chiaramente mi piacerebbe enormemente rinnovare questa collaborazione.

Tu fai parte della cosiddetta “scuola napoletana”, in contrapposizione alla “scuola salernitana”. Quali differenze riconosci tra Napoli e Salerno? E in che modo le due esperienze potrebbero confluire?

Io abito a Castellammare di Stabia, luogo di confine tra Napoli e Salerno, per cui pur sapendo e riconoscendo l’esistenza di una scuola napoletana e di una salernitana, sono considerato napoletano dai musicisti partenopei e salernitano da quelli di Salerno! Di conseguenza mi sono trovato completamente a mio agio con gli esponenti di entrambe le “scuole” in questione.

Ci sono comunque delle differenze: a Salerno sono presenti numerosi talenti che individualmente hanno una potenzialità enorme; a Napoli, invece, i musicisti possiedono una maggiore progettualità. Nella città partenopea esistono più gruppi, più progetti originali. E quando trovi l’incontro tra le due “scuole”, hai il progetto e il grande talento individuale, è praticamente il massimo!

Cosa vorresti proporre a qualche Festival o a qualche Direttore Artistico? Hai qualcosa da recriminare nei loro confronti?

Osservando il panorama dei Festival dall’esterno, una critica potrebbe essere costituita dalla mancanza di coraggio che hanno i Direttori Artistici. Spesso propongono soltanto le cose che funzionano, quelle che assicurano un pubblico numeroso, senza voler prendere dei rischi circa eventuali progetti da proporre. Tutto ciò va a discapito dell’originalità, e a discapito di idee che esulano dal mainstream dei cartelloni.

L’altra faccia della medaglia è però costituita dalla sopravvivenza delle varie Rassegne e dei vari Festival e, quindi, l’esigenza di far quadrare i bilanci, con introiti provenienti da proposte “sicure”.

Progetti futuri?

Ho da poco terminato una nuova registrazione in trio. E’ un lavoro di prossima uscita, che propone tutti brani originali.

Grazie mille per la tua disponibilità e…buon concerto al tramonto!!!
Intervista a cura di Angelo Sciaudone e Olindo Fortino – Sound Contest

MARCO ZURZOLO – FRANCESCO NASTRO – ANTONIO ONORATO
mercoledì 18 settembre 2013, concerto al tramonto, ore 18:30
Villa Cappelli – Pollena Trocchia
ingresso gratuito
fino ad esaurimento posti

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