News

Il globalismo di Nils Petter Molvaer

Tra i sentieri sonori del jazz contemporaneo quelli percorsi ed esplorati da Nils Petter Molvaer hanno il pregio di porsi a metà strada tra una world music futuribile e un’elettroacustica tanto accessibile quasi inclassificabile.

Il globalismo avveniristico e plurisensoriale di Nils Petter Molvaer

Profeta, pioniere e ambasciatore nel mondo delle innovative tendenze nordeuropee, il trombettista e compositore norvegese (nato a Sula il 18 settembre 1960) ha saputo fare tesoro di rivoluzioni e intuizioni antecedenti coniugandole e rielaborandole in un esperanto musicale perfettamente aderente alla civiltà dell’era digitale.

Quando al tramonto degli anni Novanta l’ECM di Manfred Eicher pubblicò il suo primo album solista “Khmer”, la critica spiazzata e sbalordita non ebbe più infelice soluzione che chiamare ciò che vi suonava dentro con l’etichetta “nu-jazz”.
Un’etichetta di aberrante amnesia storica, come se ciò che Don Cherry, Miles Davis, Jon Hassel e Brian Eno erano riusciti a fare, inventare e suonare decenni prima fosse già stato metabolizzato e archiviato.
Basta infatti ascoltare due capolavori quasi alieni come “Possible Music: Fourth World Vol. 1″ (1980, di John Hassell e Brian Eno) e “Aka / Darbari / Java – Magic Realism” (1983, del solo Jon Hassell) per capire e scoprire come già lì la visione estetica globale e la chiave di lettura tecnologica di Molvaer fossero splendidamente impostate e compiutamente risolte.

Col sostenere e ricordare ciò non si vuole affatto sminuire o ridimensionare la gittata artistica di Molvaer, piuttosto ricollocare la sua proposta e produzione musicale nell’alveo e nel letto di un fiume ingrossato e alimentato da più affluenti. Piuttosto, ciò che nel linguaggio e nel suono del trombettista risaltano in modo peculiare e originale sono gli organici straripamenti verso molteplici latitudini geografiche e culturali (in un continuo avvicendarsi di situazioni esotiche, desertiche, equatoriali, tropicali, polari, urbane e rurali), la sensorialità emata e sollecitata da motivi, trame e atmosfere che oltre a farsi ascoltare si fanno toccare, vedere, annusare e gustare.

Nell’opera di Molvaer l’elemento visivo e cinematico è talmente fondante e basilare da aver dato vita, nel corso del tempo, ad una produzione discografica suddivisa in un due filoni tra loro perfettamente complementari: uno strettamente musicale, costituita da album di composizioni originali e remix, e un altro votato a colonne sonore per film, pellicole e documentari.
E se nel primo spiccano lavori dal tenore armonico, timbrico e ritmico straordinario quali “Solid Ether”, “Er”, “Re-coloured” e il già citato “Khmer”, nel secondo lasciano la loro impronta altamente suggestiva soprattutto gli “imaginary ethno-techno landscapes” di “Edy” e “Schläft ein Lied in allen”.

La tromba di Molvaer, dall’inconfondibile timbro ovattato e rarefatto, geneticamente davisiana e hasselliana, è l’altro peculiare ingrediente di un “soul jazz” tutto scandinavo votato ad ascetiche brezze “ambient” come anche di un “groove alchemico, pronto a cavalcare deragliamenti elettronici durissimi e colossali trame hip hop, funk-dub e jazz-rock.
In questo intenso crogiuolo “fusion”, l’ecumenismo jazz praticato e predicato da Molvaer incontra e arruola molteplici linguaggi e stili, in un processo creativo dove la sottrazione e spesso più brillante dell’addizione.

Quando l’effettistica e il processamento elettronico lasciano il testimone alla prassi acustica emergono, infine, le duttili e brillanti capacità tecniche del trombettista norvegese, il suo fantasioso gioco d’intarsio nella pagina scritta e nella libera improvvisazione.

Olindo FortinoSound Contest Music Magazine

Share Button